La pastasciutta antifascista
Un po’ dappertutto in Italia, la caduta del fascismo, il 25 luglio 1943, fu segnata da giorni d’immenso giubilo popolare. Dissoltasi la dittatura, si pensava che sarebbe finita anche la guerra. Invece la Liberazione non arriverà che dopo ulteriori ventuno mesi di sofferenze e angosce.
Irresistibile, allorché crollò il regime, proruppe il desiderio di festeggiare. Assieme ad altre famiglie di Campegine, un centro agricolo non lontano da Reggio Emilia, i Cervi prepararono una grande pastasciutta e la portarono in piazza nei bidoni del latte. Con un rapido passaparola, la popolazione accorse da ogni dove: tutti in fila per ricevere un piatto di maccheroni, conditi con burro e formaggio. In tempo di guerra e di ristrettezze alimentari, la fame era grande, ma altrettanto grande risultava la volontà di riprendersi la piazza, il luogo delle adunate fasciste.
La famiglia Cervi andrà incontro a un tragico destino: di radicati sentimenti antifascisti, animatori della Resistenza nella zona, i sette figli maschi di Alcide Cervi e Genoeffa Cocconi (Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore) saranno fucilati il 28 dicembre 1943 a Reggio Emilia, presso il poligono di tiro. Nel 1949 tutti verranno insigniti della medaglia d’argento al valor militare. Ad Alcide Cervi (Papà Cervi) e ai suoi figli, il Comune di Settimo dedicherà rispettivamente l’asilo nido e una strada del Borgo Nuovo.
Da circa vent’anni, la festa della pastasciutta antifascista rivive non solo nell’aia del Museo Cervi di Gattatico (Reggio Emilia), ma in molti luoghi d’Italia.
A Settimo Torinese l’iniziativa si tiene dal 2017 col patrocinio dell’Istituto Alcide Cervi.